Il
corpo. I corpi. La nascita del corpo, il suo uso, la sua idea, la sua morale,
il suo senso, la sua potenza, la sua energia, la sua bellezza e ancora il corpo
della donna e quello dell’uomo, il corpo di Cristo e il suo senso, il corpo che
nasce, scorre, si evolve, cambia, fiorisce e cresce. Il corpo che matura,
muore, si trasforma in materia e si dissolve nella natura integrandosi con essa.
Il corpo degli altri e il nostro che osserviamo continuamente. Esiste una
cultura del corpo, una manipolazione del corpo, una coscienza del corpo, c’è il
sacramento del corpo (di Cristo) e il corpo come contenitore dell’eternità.
Il termine corpo in filosofia riespone il significato
del linguaggio comune dichiarando come corpo
ogni essere esteso nello spazio e percepibile attraverso i sensi. Così M.
Foucault vede nel corpo un “luogo
assoluto” che è sempre altrove, ma legato fortemente a tutti gli “altrove del mondo”. Merleau
-
Ponty
afferma che “
Il corpo
è l'unico mezzo che abbiamo per
andare al cuore delle cose
” e per Bodei “Il corpo è ciò che pone l’uomo in contatto
con il mondo” ribadendo che “l’uomo
non ha un corpo, ma è un corpo”. Non c’è nulla di così
immediato e concreto che attragga e allo stesso tempo respinga quanto un corpo.
In lui viviamo, fuggiamo, cerchiamo, amiamo e odiamo, per lui curiamo,
ascoltiamo, esultiamo e disprezziamo. Siamo completamente schiavi della nostra
corporeità, cercando complessi equilibri ed esigenti armonie che esaltino il
nostro essere fisico. Allora il corpo diventa una specie di carcere dal quale
non possiamo ne fuggire ne prescindere, diviene “il luogo senza appello a cui siamo condannati” facendoci raggiungere
la consapevolezza che il corpo è, senza remissioni. Un corpo che attraverso i
sentimenti ci racconta che siamo “qui e
ora” e che, con le sue manifestazioni, si trasforma in uno specchio dell’anima.
Il corpo, sfuggendo alla sua origine naturale, è un “filtro culturale” in cui, la società, manifesta gli usi e i costumi
di tutte le epoche e culture. Così, l’immagine corporea si modifica e a
contatto con il mondo esprime lo stile e il senso della nostra biografia, la
storia dell’individuo riflette la sua condizione, la nostra società e il nostro
IO.
C’è, quindi, il “corpo
disprezzato” nel Medioevo, in cui la salvezza passa attraverso la penitenza corporale, c’è
“la perfezione delle sfere” nel
Rinascimento, c’è il
corpo “incipriato e frivolo” nel Settecento e ci sono le varie declinazioni del
“corpo-detrito e corpo-frammento”
nell’Ottocento, in cui i corpi cercano di recuperare una bellezza perduta
inventando una nuova fede al limite tra raffinatezza, gusto, eccentricità,
grazia e “sregolamento dei sensi”. Un
corpo s/vestito della sua sensualità e dell’eros in cui si percepisce il
crepuscolo tra moralismo e trasgressione. Nel Ventesimo secolo ritorniamo alle
origini consacrando come punto di partenza la centralità del corpo e il suo
essere nudo o vestito. Il Novecento modifica il corpo, lo rifà, lo reinventa,
lo polverizza, lo distrugge per poi rimontarlo, lo reinterpreta, lo travisa, lo
modifica, lo maschera, lo distorce, lo interrompe, lo deforma e lo restituisce
mostruoso, lo rende un oggetto su cui sperimentare ma soprattutto lo erotizza
ricercandone la verità dello spirito. Nell’arte contemporanea il corpo diviene
la rappresentazione dello stato d’animo di chi produce l’opera e nella pittura
diviene la verità della nostra società. È un corpo su cui si riversa tutto e
che abbiamo bisogno di esibire nella sua totalità. E poi c’è il nuovo
millennio, l’anno zero e il ritorno alla pittura pura che vede il corpo nella
sua raffigurazione di energia, potenza, forza e bellezza perentoria. Un corpo
che attinge la sua immagine dalla televisione, dai giornali e dai nuovi media.
Nel
Ventunesimo secolo i corpi
acquistano luminosità, divengono lucidi, la pelle è liscia e levigata e i
muscoli tesi allo sforzo appaiono in tutta la loro dirompenza come nelle opere
di Giorgio Lupattelli (Magione, PG). Qui il corpo evidenzia il suo splendore, è
quasi un miracolo. Le immagini raffigurano atleti nel momento di massima
tensione, pronti allo scatto, in attesa del “pronti, via”. I suoi sportivi si preparano allo start. Sono nuotatori, centometristi o ballerini,
tutte eccellenze in procinto di partire, con la muscolatura tesa, la
concentrazione trapelante, lo sforzo che fuoriesce
dalla tela. Sono uomini e donne che hanno regalato la loro esistenza alla
ricerca della perfezione che non è da intendersi solo fisica. La saturazione
iperrealista della superficie dipinta prepara l’attesa del superamento di un
limite, c’è sempre la possibilità di non arrivare primi ma si è in gara per
esserlo. Così il colore diventa effetto, le sfumature catturano l’emozione, i
contorni si muovono come se fossimo noi stessi l’immagine che stiamo guardando.
C’è una tensione trasudante in tutta la composizione, la pennellata sembra
respirare in attesa della vittoria. Lupattelli rappresenta il corpo al massimo
delle sue potenzialità fisiche, nel momento di culmine, lo esibisce
ossessivamente mostrandolo nella sua radiosa e quasi eterna giovinezza.
Un corpo-mondo, che con la
sua figura integrale vuole essere messo a nudo, toccato, sfiorato, conosciuto e
visto nella sua intimità. L’estrema concentrazione della pennellata crea un
intervallo tra la suspance e ciò che
succederà tra pochi minuti. Siamo di fronte a campioni, numeri uno diventando spettatori
di una possibile vittoria data dall’unione inscindibile tra corpo e mente. Ma
qual’è il destino del corpo e cosa significa nelle opere di Lupattelli? È
consapevolezza, rispetto, cura, salute, bellezza, fatica, dolore, sport Tutte
risposte possibili che dichiarano che il corpo non esiste solo nella bellezza
ma anche nella raffigurazione dell’imperfezione, (quasi impercettibile) nella
tensione della mente, nell’emozione dell’anima. Il destino del corpo
lupattelliano è quello di esorcizzare il dolore e la sofferenza,
Mens sana in corpore sano, sembrano sussurrarci
i suoi sportivi, nel destino hanno un’unica scritta, Just do it, fallo ora.
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