Dopo tanti anni passati a intervistare chef sul loro piatto
dell’amore, a cercare di scoprire cosa si nascondesse nella loro vita
sentimentale ed erotica che potesse essere messo sul piatto, dopo tanto tempo
trascorso a intervistare, toccare, annusare, scrivere, osservare, carpire,
colloquiare in ordine sparso per poi passare notti insonni a trovare la chiave
vincente per ricostruire il rapporto amore-cibo, cibo-sesso, vita-alimenti,
sempre in ordine sparso per la mia capacità o incapacità di essere ordinata,
alla fine qualcuno l’ha chiesto a me, quale fosse il mio piatto dell’amore.
Girovagando tra le cucine di chef stellati ma anche di cuochi
alle prime armi che non hanno mai avuto l’intenzione di diventare stelle della
cucina internazionale, semplicemente perché per loro la cucina è un dono che si
può fare senza stressarsi troppo sulla possibilità di arrivare a vette che non
ti permettono nemmeno di avere più una vita privata, ho capito che ognuno di
noi può avere un piatto dell’amore,
quel piatto con cui conquista i suoi commensali ma soprattutto un piatto in cui
mette tutto il sapere, il cervello ma soprattutto il cuore a disposizione
dell’altro. Il piatto dell’amore è
quel piatto che ti sveste dagli orpelli, che ti denuda dalle paure e ti fa
arrivare dentro il corpo di un altro, non solo fisicamente, il piatto dell’amore arriva a farti battere
il cuore, a fermartelo se necessario e a svelare i tuoi segreti. Si, perché la
cucina riesce a farci essere davvero ciò che vogliamo essere. In cucina non
possiamo fingere, se lo facciamo ciò che faremo mangiare ai nostri ospiti avrà
il sapore della menzogna, se il nostro spirito non è felice, la nostra mise en place avrà il sapore del nostro
stato d’animo, sarà lo specchio delle nostre angosce e la sedia delle nostre torture.
Se fingiamo ai fornelli, inganniamo noi stessi. Se tradiamo la cucina, lei
tradirà noi raccontando a chi ci sta davanti chi siamo veramente.
Ogni chef, o persona normale che prenda in mano una padella
ha il diritto di avere un piatto
dell’amore.
Stefano Baiocco ha
la sua Semplice insalata, composta da più di cento varietà vegetali tra erbe e fiori
eduli, con alla base due cialde di pasta brick che racchiudono fini lamelle di
champignon crudi, il tutto condito con un filo di olio. Un piatto per molti, ma
non per tutti, un fuori menù, dedicato a chi merita, ed è in grado, secondo
lui, di sopportare l’esplosione/implosione dei sensi. Un’anarchia gustativa in
cui si percepisce che in natura c’è già tutto ciò che desideriamo, dove si
fanno spazio l’amaro, il piccante, il dolce, l’acidità, la freschezza e altre
mille sfaccettature che ti fanno pensare ad un piatto che vive solo nel
presente in quanto la fogliolina che ingerirai, dopo un attimo, sarà diversa da
quella di un attimo prima.
La semplice insalata ricongiunge anima e corpo lasciando
spazio al dopo.
Aurora Mazzucchelli
ha il
Raviolo di Parmigiano, fiori di lavanda e
mandorle tritate
. Qui, tutto parte della parte sinistra del nostro
corpo, quella che pulsa, quella che da un senso alla vita rinviando al senso
materno, al suo rinchiudersi al mondo per poi aprirsi allo stesso con
amorevolezza ed energia, quell’energia necessaria a contenere un sentimento. In
questo Raviolo tanto emiliano, stanno imprigionate le emozioni che esplodono
nel momento in cui, affondando i denti, si spacca avidamente la pasta fresca
facendo fuoriuscire la crema di parmigiano che lentamente implode in bocca. Una
rêverie obbligata, un’istanza onirica, un’invasione della lavanda che risveglia
il sonno della ragione e ripulisce dai pensieri lussuoriosi provocati
dall’unione della pasta e del suo ripieno. Se per Seneca: “L’interiorità è
l’unico luogo dove gli uomini possono sottrarsi anche agli avvenimenti esterni
negativi”, allora per Mazzucchelli questa interiorità diventa il consumo lento
e profondo dell’amore, toccando le vette più alte del desiderio per, poi,
calarsi in un caldo abbraccio e in un’attesa maternità. “L’attimo prima”
prepara la strada all’ultimo atto che completa il desiderio di vita.
Per il Postrero,
Jordi Roca la cui cucina è
immaginazione, divertimento e audacia, una cucina di passione che pare
attingere dalla filosofia da Antoine de Saint– Exupéry in cui il protagonista è
un bambino e come tale ama i dolci perché gli danno la sensazione di
completezza e di sincero amore. Una cucina delle emotività che trova massima
espressione nel Postre lactico, piatto dell’amore, in cui il dolce di
latte, unito al gelato di latte di pecora, allo yogurt e alla “nube lactica”
connette le sue potenzialità per generare la nostalgia dell’odore della nuca di
un bebè. Semplicemente geniale e commovente sensazione che rimanda all’infanzia
e alla dolcezza. Proust diceva che "
un odore, già sentito o respirato un tempo lo sia nuovamente, insieme nel
presente e nel passato reali senza essere attuali, ideali senza essere
astratti, immediatamente l'essenza permanente e abitualmente nascosta delle
cose si trova liberata, e il nostro vero io che, talvolta da molto tempo,
sembrava morto, ma che non lo era interamente, si sveglia, si anima ricevendo
il cibo che gli viene dato" . Al nostro Jordi piace giocare verso il
limite, rompendo le convenzioni e utilizzando la fantasia per vivere in totale
dolcezza sorprendendo nel finale e proponendo un’alternativa ricreativa alla
routine della quotidianità.
Per Blue
il piatto dell’amore è la
Crostata di marmellata di fichi. Anzi Blue è l’impersonificazione di una
Crostata, lo è sempre stata, fin da bambina, quando si nascondeva sotto gli
alberi di fico e ne mangiava così tanti da farsi venire il mal di pancia. Blue
è sempre stata la confortante crostata che la nonna cuoceva nella stufa a
legna, è come se in quel profumo e in quel sapore si vedesse tutta la sua vita.
In quegli attimi in cui la nonna tagliava le listarelle di pasta dolce o con il
Fruttapec cuoceva i fichi, lei ha sempre immaginato il suo futuro.
Rassicurante, buona, calda e audace, se non lo fosse, probabilmente la crostata
sarebbe stata fatta con una banalissima marmellata di albicocche o ciliegie,
Blue ha sempre visto in quel dolce così semplice la metafora della sua
esistenza. Non è necessario mostrarsi per ciò che non si è, la Crostata non lo
fa, lei è buona così com’è. La Crostata si mangia a colazione, è un ottimo
spuntino a metà mattina e sicuramente può diventare una merenda esemplare con
miscela Arabica o accompagnarti lungo il cammino verso Morfeo prima di
addormentarti. La Crostata ti prende per mano, tutta la vita. Lo fa con il suo
colore, di un dorato rincuorante, con la sua forma, rotonda che ricorda il seno
di una madre, con le listarelle di pasta che ne contengono la marmellata per
non farla strabordare, con il suo profumo intenso che irrora la casa e arriva
al giardino, con il suo sapore, intenso quando caldo e delicato quando si
raffredda. La Crostata è perfetta per dispensare consigli a un’amica che è
stata tradita dal fidanzato o per terminare una noiosa cena di lavoro, lei con
il suo non so che di imperfetto è
capace di ritrovare il tempo perduto in cui abbiamo smarrito la strada di casa
e abbiamo bisogno di ritrovarla. Nella Crostata ti ci ritrovi, ti ci butti, ti
ci immergi, ti ci lanci a capofitto fin quando non ne rimane nemmeno una
briciola. Nella Crostata rivedi te stessa e da sempre Blue sa, che se mai
qualcuno le avesse chiesto quale fosse il suo
piatto dell’amore, lei avrebbe detto la Crostata di marmellata di fichi.
C’è tanto amore in questo piatto e c’è
tanto essere di Blue in questa semplice ricetta.
Cara Blue continua a essere una crostata e
non ti preoccupare se avrai a che fare con quelle insignificanti CupCakes,
nella vita succede, l’importante è rimanere croccante e saporita come solo tu
sai fare.
Sa di casa, di calore umano, di autenticità.
RispondiUn sorriso. A.