Massimo Bottura
Ma
ssimo Bottura non è solo uno chef. Massimo Bottura
(cuoco dell’Osteria Francescana MO) è un filosofo del gusto, un antropologo
curioso che studia cultura e società per riportarle sul piatto, è
un’osservatore tenace della realtà e non per ultimo un grande amante dell’arte
contemporanea. La consapevolezza che l’Avanguarda non sia più il “gioco di
prestigio”, gli fa servire la verità impiattata e anteporre lo studio della materia prima mettendosi al suo
servizio. “Possiamo fare ricerca, senza fare avanguardia” affermava
John
Cage. “
Dobbiamo ricercare,
ognuno, il proprio segno”, afferma Bottura che attinge dall’arte di Kandinsky, per
trovare la sua aspirazione. Per Kandisky:
“
Ogni
opera d’arte, è figlia del suo tempo e spesso è madre dei nostri sentimenti.
Ogni periodo culturale esprime una sua arte, che non si ripeterà mai più. La
nostra anima si sta risvegliando da un lungo periodo di materialismo e
racchiude in sé i germi di quella disperazione che nasce dalla mancanza di una
fede, di uno scopo, di una meta. L’artista cercherà quindi di suscitare
sentimenti più delicati
”.
Non è forse lo stesso per la cucina? Ogni piatto non è figlio della sua epoca e
della sua territorialità, divenendo inevitabilemente padre anche dei nostri
umori, sentimenti o delle nostre passioni? E il cuoco non è, dunque, autore di indelebili
emozioni?
Dalla
punta più alta della piramide spirituale (Du spirituel dans l’art) dove risiede
la schematizzazione della circolazione dei valori nelle strutture sociali,
Bottura in cima colloca il pensiero personale, scendendo, poi, alla materia
prima, per arrivare ai gradini passione, cultura e senso del bello, dove la
creatività diventa unica, irripetibile e alla ricerca della riconoscibilità.
Una vetta che pone l’artista/chef come profeta del futuro isolandolo
momentaneamente e rendendolo l’unico elemento propulsore per la crescita.
Ponendosi in questa posizione, obbligata se si è geniali, l’artista, -lo chef
in questo caso-, deve cercare il modo perfetto per esprimere al meglio la sua
interiorità e consegnarla nelle mani (piatto) del domani e di chi ne vuole
assaggiare (interiorizzare) un pezzo.
Dal
pensiero alla materia prima, che ci racconta un territorio, la sua storia che
sa di persone e di eventi, che è memoria collettiva di ciò che siamo stati,
siamo e saremo, “Ciò che troviamo nella nostra terra va capito e interpretato,
va annussato con intensità, guardato, toccato va adulato e protetto” sostiene
Bottura. Nel tragitto che separa o unisce la madre terra da noi, il cammino si
fa mano nella mano ritornando ad impossessarsi del proprio paese e questo
eccentrico chef lo fa con la sua cucina. Lo fa con la meticolosità di uno
studioso e il rispetto di un amante, non stuprando silenziosamente la
tradizione ma accarezzandola e adulandola per farla cadere ai suoi piedi.
Alcuni
giorni fa sono stata a Modena al Museo Casa Enzo Ferrari, ospite di "Qui
cucinare e DOP", evento organizzato per presentare quattro formaggi DOP
tra cui Asiago, Mozzarella di Bufala Campana, Pecorino Sardo e Parmigiano
Reggiano. Qui ho avuto la fortuna di incontrare per la prima volta Massimo Bottura.
Alla
manifestazione, Bottura, presentava quattro piatti che utilizzano i 4 formaggi
DOP uno dei quali studiato insieme alla giovane aspirante pasticciona (come
l’ha definita lui) Laura Cattani. Ventenne agguerrita (cercava di propinargli
l’aceto balsamico prodotto dalla sua famiglia) e con le idee chiare, Laura, ha
vinto il concorso lanciato sul sito DOP con la sua ricetta a base di
Parmigiano: spuma di parmigiano reggiano
con pere ubriache e chips croccante è riuscita persino a strappare una
promessa allo “chef più stellare”
d’Italia che cercherà un posticino alla Francescana per far crescere
questa baby cuoca.
Il Cacio e Pepe Butturiano
Tutto ciò
che è successo in queste ore di follia
sotto controllo che è Bottura non sono sintetizzabili in poche righe. Non
sono riassumibili in tremila aride battute perché quando c’è molto da dire la
sintesi è un errore. E allora ci provo a raccontare tutto, ma tutto non sarà
perché la penna è più lenta del pensiero, la scrittura è una lumaca in
confronto alle elucubrazioni mentali che si producono quando con grande
stupore, questo colto chef, menziona Tommaso d’Aquino, Massimo Montanari,
Sergio Leone e Quentin Tarantino. Per non parlare poi delle mia bocca che
maleducatamente rimane aperta all’udire l’arte del Cacio e Pepe che
diversamente da ciò che si pensa, non è un piatto semplice. Una riflessione sul
nostro passato, o meglio sul passato di Bottura, sul suo territorio, la
tecnologia e la ricerca con uno slancio verso il futuro. Una domanda spontanea,
“chi sono e da dove vengo” e dove vado? aggiungerei io
. Un riso, il Vialone Nano (con riferimento ai
racconti di Lidia Cristoni) in cui le protagoniste sono le mondine che 50 anni
fa raccoglievano nelle risaie del mantovano e del basso veneto questo cereale.
Il Cacio e Pepe che prende la forma dall’arte contemporanea, il colore acromo
dalle opere di Piero Manzoni, il profumo creato dalla sublimazione della
concentrazione di sei tipi di pepe che diventano eau de poivre, acqua trasparente, distillato di memoria, evoluzione
di un’icona.
Proseguendo nel lungo sentiero che abbraccia il legame
arte e cibo, in un pullulare di informazioni, immagini, riferimenti, richiami
storici, ecco che Bottura presenta un’altro piatto, il Raviolo. Quel Raviolo nordico,
panciuto, contenitore di emotività che si lega al Sud con i pomodorini, la
crema di melanzane e la Mozzarella di Bufala Campana. Bottura riesce anche qui
a creare voli pindarici che, con la proverbiale capacità che lo
contraddistingue, riescono a dar vita a narrazioni colme di passaggi, scarti
improvvisi, note energiche e attese promesse.
La citazione qui, giubila l’intelletto facendolo veloce,
prepotente, incisivo, compulsivo, il cervello comanda il gesto, esige un’azione
cromatica che si appoggia sul piatto, il verde, il rosso, due complementari
ruotano in memoria agli Splash Painting di Damien Hirst. Dopo questa
affermazione, ci sarebbe da urlare di gioia al solo pensare a questa
straordinaria serie di dipinti dell’artista londinese. Uno slancio verso la
poesia dell’errore che lo sfida
squarciando il velo di Maya e nasconde la
verità. Ma quale verità? E quale se non la verità che risiede nell’errore e
nella perfezione nell’imperfezione.
Quale verità si cela dietro ai piatti di Massimo Bottura?
Se per l’estetica: “L’errore è insito alla verità, ne
è la causa sostanziale, ed è il motore del superamento della verità” allora
unito all’etica arriviamo alla scoperta dell’arcano. Etica ed Estetica per far
crescere un territorio, il nostro.
Massimo Buttura e Blue G.
Se si riuscisse ad includere tra le varie forme d'arte anche la cucina (cosa che per me sarebbe assolutamente da fare) Bottura sarebbe perfetto e determinante per perorare la causa e riuscire nell'impresa.
RispondiImmagino solo quale estasi si sia consumata quel giorno, soprattutto per te che hai fatto dell'arte la tua ragione di vita..
Grazie per il post, veramente illuminante, anche per me che mi sento in questo campo veramente poco all'altezza!
Un bacione Simo!
Francy