E mi ritrovo qui, una domenica sera di fine estate che
combatte il crepuscolo di un autunno alle porte, con la pioggia che tintinna
sui marciapiedi.
Amo ascoltare la pioggia mentre sono sdraiata sul letto a
scrivere, mi piace sentirla cantare con le finestre aperte, mi rilassa, mi fa
pensare a tante cose e nella nenia del suo baciare l’asfalto mi ritrovo a
pensare a che estate invisibile ho passato.
Quest’anno non mi sono nemmeno accorta che l’estate sia
iniziata, non ho sentito il profumo delle rose, la calura sulla pelle, il sole
non mi ha accarezzata nemmeno un momento. È stata un’estate di cambiamenti, di
grandi emozioni che hanno messo ancora a dura prova il cuore e un’estate in cui
ho perso l’orientamento, la bussola si è rotta e la segnaletica vitale ha dato
forfait. Un’estate in cui la parola serenità ha fatto posto alla corsa
all’impazzata della tachicardia, in cui il mio letto è stato sostituito con una
poltrona di ospedale e in cui la mia spensieratezza è stata cementata dal
dolore lancinante delle perdita di mia nonna Anita. In tutto questo condensarsi
di dolore al rialzo, lacrime pesanti come la caduta di un macigno dal Monte
Bianco e la sensazione continua di stare perennemente in affanno ho comunque
avuto il tempo di infilare alcune riflessioni, provenienti da anni e anni di
chiaccherate fatte con mia nonna, che mettono il puntino definitivo sulla mia
idea di relazione.