martedì 20 settembre 2016

L’amore è la grande rivoluzione. Pensieri sconnessi AspassoconBlue

E mi ritrovo qui, una domenica sera di fine estate che combatte il crepuscolo di un autunno alle porte, con la pioggia che tintinna sui marciapiedi.

Amo ascoltare la pioggia mentre sono sdraiata sul letto a scrivere, mi piace sentirla cantare con le finestre aperte, mi rilassa, mi fa pensare a tante cose e nella nenia del suo baciare l’asfalto mi ritrovo a pensare a che estate invisibile ho passato.

Quest’anno non mi sono nemmeno accorta che l’estate sia iniziata, non ho sentito il profumo delle rose, la calura sulla pelle, il sole non mi ha accarezzata nemmeno un momento. È stata un’estate di cambiamenti, di grandi emozioni che hanno messo ancora a dura prova il cuore e un’estate in cui ho perso l’orientamento, la bussola si è rotta e la segnaletica vitale ha dato forfait. Un’estate in cui la parola serenità ha fatto posto alla corsa all’impazzata della tachicardia, in cui il mio letto è stato sostituito con una poltrona di ospedale e in cui la mia spensieratezza è stata cementata dal dolore lancinante delle perdita di mia nonna Anita. In tutto questo condensarsi di dolore al rialzo, lacrime pesanti come la caduta di un macigno dal Monte Bianco e la sensazione continua di stare perennemente in affanno ho comunque avuto il tempo di infilare alcune riflessioni, provenienti da anni e anni di chiaccherate fatte con mia nonna, che mettono il puntino definitivo sulla mia idea di relazione.


Relazioni che vanno. Relazioni che vengono. Relazioni pericolose e relazioni che tutto hanno fuorché il sale che dovrebbero avere. Relazioni che “vorrei ma non posso” e relazioni che “potrei ma non voglio”. Relazioni che, se dimentico è meglio e altre che, se ricordo, mi sembra di sbattere il mignolino del piede sinistro contro lo spigolo del comodino.
Relazioni complicate, contradditorie, tossiche o philofobiche. Relazioni intense, pregnanti, lancinanti o soffocanti. Relazioni che ti tolgono il fiato, che ti spostano i contrappesi, che minano la stabilità ma che assestano il cuore e anche altro. Relazioni che non vedi l’ora di scappare a casa, depilarti con la Gillette e montare sulla bicicletta per varcare la soglia di casa sua per farti leccare anche l’ultimo rimasuglio di pelo incarnito che hai sulle cosce. Relazioni che non esplodono, altre che sembrano la bomba atomica innescata sotto i mari francesi.
Relazioni che “Ho scarpe troppo costose per correre dietro a qualcuno” e altre che “A toglierti la Louboutin ci penso io”. Relazioni fatte e poi disfatte, di quelle che prima ti vogliono e poi non ti vogliono più. Di quelle che l’uomo ha sempre paura dei suoi sentimenti e la donna pure. Di quelle che non se ne può più che la parola più difficile da dire è: voglio stare con te, punto e basta. E non importa come, dove, quando o perché voglio stare con te, importa solo che ci voglio stare e che la devi smettere di farti le seghe mentali che nemmeno in età adolescenziale eri così privo di midollo.
Relazioni che non sbocciano perché a sbocciare è solo il senso di colpa che certi uomini provano di fronte a una relazione che ha la dimensione di un condominio sovraffollato, relazioni che avrebbero anche le caratteristiche perfette per raggiungere la felicità, fatto salvo rendersi conto che in quella relazione non si è in due , ma spesso in tre, quattro, cinque (e non sto contando la prole).
Le relazioni, oggi, sono un agglomerato incasinato di deliri in cui spesso ci si sente come in una discarica per raccolta indifferenziata quando vige ormai la regola della differenziata.

Relazioni che mi stanco di raccontare, che poi cosa ci sarà da raccontare in questo secolo dominato dall’amore bulimico e invaso dal famelico pensiero che il cotto e mangiato sia l’unica via percorribile per raggiungere un momento di felicità.

Il mio pensiero corre indietro, ai miei nonni che si sono tenuti la mano fino all’ultima alba della loro vita, che hanno condiviso onori e onori di una povertà che era ricchezza perché c’era amore e rispetto e perché c’era la volontà di percorrere la strada insieme, uniti, stretti e vicini. Il mio ricordo va lì, alle rose sul tavolo che mio nonno raccoglieva dal giardino per donarle a mia nonna, va alle crostate di marmellata di fichi che lei faceva per lui, accogliendolo con le calze autoreggenti al ritorno dal lavoro.
Io sono li con loro, ero piccola, ma lo ricordo ancora. Ricordo i baci, le parole sussurrate all’orecchio,  i pizziccotti sul culo e la mano sotto la gonna. Ricordo il profumo dei loro corpi mentre si stringevano in un abbraccio e la delicatezza delle loro carezze mentre si sfioravano i capelli.
Così come Badiou, mia nonna Annita mi diceva che l’amore è la vera rivoluzione.


Cara Blue, ricordati di essere felice.
L’infelicità lasciala a chi non ha il coraggio di capire che l’amore è la vera rivoluzione.



1 commento:

  1. riLOVEuzione.
    Che bel post cara amica!

    Bacio e grazie per essere tornata. Mancavi...

    Rispondi