E mi ritrovo qui, una domenica sera di fine estate che
combatte il crepuscolo di un autunno alle porte, con la pioggia che tintinna
sui marciapiedi.
Amo ascoltare la pioggia mentre sono sdraiata sul letto a
scrivere, mi piace sentirla cantare con le finestre aperte, mi rilassa, mi fa
pensare a tante cose e nella nenia del suo baciare l’asfalto mi ritrovo a
pensare a che estate invisibile ho passato.
Quest’anno non mi sono nemmeno accorta che l’estate sia
iniziata, non ho sentito il profumo delle rose, la calura sulla pelle, il sole
non mi ha accarezzata nemmeno un momento. È stata un’estate di cambiamenti, di
grandi emozioni che hanno messo ancora a dura prova il cuore e un’estate in cui
ho perso l’orientamento, la bussola si è rotta e la segnaletica vitale ha dato
forfait. Un’estate in cui la parola serenità ha fatto posto alla corsa
all’impazzata della tachicardia, in cui il mio letto è stato sostituito con una
poltrona di ospedale e in cui la mia spensieratezza è stata cementata dal
dolore lancinante delle perdita di mia nonna Anita. In tutto questo condensarsi
di dolore al rialzo, lacrime pesanti come la caduta di un macigno dal Monte
Bianco e la sensazione continua di stare perennemente in affanno ho comunque
avuto il tempo di infilare alcune riflessioni, provenienti da anni e anni di
chiaccherate fatte con mia nonna, che mettono il puntino definitivo sulla mia
idea di relazione.
Relazioni che vanno. Relazioni che vengono. Relazioni pericolose
e relazioni che tutto hanno fuorché il sale che dovrebbero avere. Relazioni che
“vorrei ma non posso” e relazioni che “potrei ma non voglio”. Relazioni che, se
dimentico è meglio e altre che, se ricordo, mi sembra di sbattere il mignolino
del piede sinistro contro lo spigolo del comodino.
Relazioni complicate, contradditorie, tossiche o philofobiche. Relazioni intense, pregnanti,
lancinanti o soffocanti. Relazioni che ti tolgono il fiato, che ti spostano i
contrappesi, che minano la stabilità ma che assestano il cuore e anche altro.
Relazioni che non vedi l’ora di scappare a casa, depilarti con la Gillette e
montare sulla bicicletta per varcare la soglia di casa sua per farti leccare
anche l’ultimo rimasuglio di pelo incarnito che hai sulle cosce. Relazioni che
non esplodono, altre che sembrano la bomba atomica innescata sotto i mari
francesi.
Relazioni che “Ho scarpe
troppo costose per correre dietro a qualcuno” e altre che “A toglierti la
Louboutin ci penso io”. Relazioni fatte e poi disfatte, di quelle che prima ti
vogliono e poi non ti vogliono più. Di quelle che l’uomo ha sempre paura dei
suoi sentimenti e la donna pure. Di quelle che non se ne può più che la
parola più difficile da dire è: voglio stare con te, punto e basta. E non
importa come, dove, quando o perché voglio stare con te, importa solo che ci
voglio stare e che la devi smettere di farti le seghe mentali che nemmeno in età
adolescenziale eri così privo di midollo.
Relazioni che non
sbocciano perché a sbocciare è solo il senso di colpa che certi uomini provano
di fronte a una relazione che ha la dimensione di un condominio
sovraffollato, relazioni che avrebbero anche le caratteristiche perfette
per raggiungere la felicità, fatto salvo rendersi conto che in quella relazione
non si è in due , ma spesso in tre, quattro, cinque (e non sto contando la
prole).
Le relazioni, oggi, sono
un agglomerato incasinato di deliri in cui spesso ci si sente come in una
discarica per raccolta indifferenziata quando vige ormai la regola della
differenziata.
Relazioni che mi stanco
di raccontare, che poi cosa ci sarà da raccontare in questo secolo dominato
dall’amore bulimico e invaso dal famelico pensiero che il cotto e mangiato sia
l’unica via percorribile per raggiungere un momento di felicità.
Il mio pensiero corre
indietro, ai miei nonni che si sono tenuti la mano fino all’ultima alba della
loro vita, che hanno condiviso onori e onori di una povertà che era ricchezza
perché c’era amore e rispetto e perché c’era la volontà di percorrere la strada
insieme, uniti, stretti e vicini. Il mio ricordo va lì, alle rose sul tavolo
che mio nonno raccoglieva dal giardino per donarle a mia nonna, va alle
crostate di marmellata di fichi che lei faceva per lui, accogliendolo con le
calze autoreggenti al ritorno dal lavoro.
Io sono li con loro, ero
piccola, ma lo ricordo ancora. Ricordo i baci, le parole sussurrate all’orecchio,
i pizziccotti sul culo e la mano sotto
la gonna. Ricordo il profumo dei loro corpi mentre si stringevano in un
abbraccio e la delicatezza delle loro carezze mentre si sfioravano i capelli.
Così come Badiou, mia
nonna Annita mi diceva che l’amore è la vera rivoluzione.
Cara Blue, ricordati di
essere felice.
L’infelicità lasciala a
chi non ha il coraggio di capire che l’amore è la vera rivoluzione.
riLOVEuzione.
RispondiChe bel post cara amica!
Bacio e grazie per essere tornata. Mancavi...