Avete
presente la frase: “Vedi Napoli e poi muori”? Ecco, adesso spostate la stessa
emozione che trasmette questa frase e pensate alla cucina. “
Mangia al Celler e poi muori
”. Si,
perché dopo essere stati al Celler de Can Roca potrete solo implorare che la
sensazione di brivido diffuso non se ne vada più dal corpo, dovrete sperare che
la mente non abbia dimenticanze, dovrete invocare il palato perché rimanga per
sempre cosparso di quei cibi così deliziosi. Entrando al Celler non solo avrete
un brivido freddo che vi farà inturgidire la lingua, inarcare la schiena e
sfarfallare lo stomaco, avrete un piacere così totalizzante, così immensamente
prepotente, così diverso da ciò che avrete provato fino a quel momento che vi
sembrerà di entrare nel Paese dei Balocchi mentre il diavolo vi sfrega una
piuma sul clitoride.
Al solo
vedere l’insegna del ristorante, un fremito mi percorre la schiena, le mani
iniziano a sudare e mi si fa l’acquolina in bocca. Attraversando il lungo
corridoio esterno che conduce al giardino, ti rendi conto che il paese delle
favole non era poi così lontano come pensavi. Aguzzi gli occhi cercando di non
perdere nemmeno un centimetro di ciò che ti sta intorno. Divanetti, seggioline
di legno, alberi che fanno ombra, una porta finestra dove si vede un pezzo di
cucina, (e qui perdonatemi, ma già avevo un principio di sussulto che veniva
dal basso, e non dico altro) e poi lui: l’ingresso. Magicamente si apre la
porta di legno invecchiato color terra e come San Pietro con le chiavi in mano
ad aprire è niente meno che la mente liquida del Celler, Josep Roca. La mente
liquida, l’anima ebbra di questo luogo degli incanti, il detentore dei segreti
di vini che hanno l’annata in bocca, demiurgo del piacere che ti fa girare la
testa e piegare le gambe, Josep sprizza cordialità e cultura da ogni poro, ha
un sorriso sincero e un’innata passione per il suo lavoro. Passiamo da un
saluto formale a un tono più amicale che mi fa sentire subito a casa. Sono nell’Eden
del cibo, catapultata in un luogo in cui si respira piacere in ogni angolo, qui
tutto è come dovrebbe essere, non uno spillo fuori dal vaso, ma con questo non
voglio dire che amo la perfezione, anzi io credo che essere imperfetti a volte
paghi molto di più, ma non al Celler. Ma se ciò che scrivo vi è sembrato come
la realizzazione di un desiderio, non è niente comparato al momento in cui
aperto il sipario, Josep mi conduce davanti alla scorrevole della cucina.
Invoco Dio, a
volte anche un’atea lo può fare. Dio esiste e il suo indirizzo è Can Sunyer 48,
Girona.
Un piede
dentro e uno fuori. Si apre la porticina e insieme a lei mille immagini,
sensazioni ed emozioni convergono in direzione pelle. Mappa di un corpo in
fremito. Gioco di caldi e freddi lungo la colonna vertebrale. Triplo orgasmo
mortale senza preavviso. Si, perché un ritorno non lo vuoi. Come puoi voler
tornale alla normalità di una cena in casa (se pur a cucinare Blue sia diventata
piuttosto brava). Come sia possibile che al solo mettere il tacco a spillo in
quella cucina tu abbia la sensazione di soffocare di passione dentro la tua
buccia questo lo ignori. Prendi coraggio, un salto a ostacolo, uno slancio in
avanti e sei dentro. Ci puoi riuscire, Blue. Puoi entrare nella cucina del Celler
con la stessa disinvoltura con cui entri nella cucina di casa tua.
Oddio, sono
disperata d’amore. Quasi bruciata dall’ardore dei fuochi che insistenti
infiammano per esaudire i desideri. Dentro o fuori. Si, perché tu sulla linea
rossa non ci puoi stare, anzi non ci vuoi stare che è ben diverso. Odi le linee
rosse, ti danno un fastidio così raro che non puoi proprio accettarle. Stare
sulla soglia non è mai stato da te e allora fallo quel salto ed entra in quella
cucina. Abbi la forza di sentire ancora il tamburo del tuo cuore, abbi
l’audacia di perderti nel peccato di quell’insieme di pentole, cerca con gli
occhi il tuo angolo di ardore e consumalo con tutta la turbolenza che hai in
corpo.
In quella
cucina, dove i rumori diventavano melodie e gli odori profumi, il cibo è
diventato, per me, il ricordo di un orgasmo. Un orgasmo lontano, di cui non
avevo più memoria, di cui avevo una lontana percezione di esistenza. Un orgasmo
lento e profondo che si nutriva di pentole, mestoli, forchette e coltelli. Un
orgasmo che faceva a botte con il dolce di una caramella al cioccolato e il
salato di un Pan Brioche al Tartufo. Un orgasmo che “soffriva nel cilicio”
della mia stessa pelle. Un orgasmo che entrava in conflitto con il mio cervello
che cercava di respingere il desiderio di abbandonarsi di fronte a un
Nucleo
de miso, dashi de nata y tempura de nyinyonyaki.
Più mi facevo strada e
più capivo quanto mi mancasse quella
sensazione di Mela Verde tra i denti, quanto anelavo mordere i cubetti di
Ananas che soffocavano gli interminabili baci, quanto la chimica della cucina
fosse esattamente come la chimica del corpo: una questione di formule perfette.
L’uomo calcola le dosi, poi lei mescola gli ingredienti.

Mi ritrovo in
un momento di totale giubilazione orgasmatica di fronte a un BonBon de Trufa.
Lo prendo in mano, al tatto mi ricorda la pelle liscia e fresca di un uomo, lo
annuso e un leggero odore di selvatico mi invade le narici, lo guardo con
spregiudicatezza, lo infilo in bocca lentamente. Mordo. In quel preciso momento
un liquido caldo invade le pareti del mio palato, sapore di tartufo, sensazione
liquida di eccitamento prepotente. Un orgasmo parte da qui, dalla bocca, dal
cibo che introduci e diventa parte di te. Il cibo viene consumato mentre tu ti
consumi di piacere. Un piacere che dalla bocca trasmette al cervello e che poi
ritorna li, si abbassa all’ombelico, passa per le cosce, attraversa le gambe e
le indebolisce, fa arricciare i piedi e poi magicamente sale alla velocità di
una lumaca in direzione Dea. L’orgasmo è qualcosa di complicato, è qualcosa che
arriva da un pensiero, da un odore, da un sapore, da un soffio nell’orecchio o
da una parola detta al momento giusto. Un orgasmo arriva da uno sfiorarsi le
mani, da una tirata di capelli, da un guardare le rotondità di un corpo. Un
orgasmo arriva da una presa forte e da un “mi
sei mancata mia BonBon de Trufa”.
Il cibo è
sempre riuscito a risvegliare in Blue pensieri erotici molto forti, l’amore
vero passa dalla cucina, l’orgasmo perfetto lo puoi raggiungere solo se hai ben
chiaro che la cucina fa da vaso comunicante per arrotolarsi sotto le lenzuola.
Arrivata a
casa, entro nella mia cucina. Stesso odore di sesso, amore e passione. Stesso
profumo di alimenti e cibo aromatizzato.
Ecco perché il
Celler de Can Roca è il miglior ristorante del mondo, perché è stato come stare
a casa mentre il profumo della bottarga invadeva l’aria e si portava con se il
ricordo di un triplo orgasmo perfetto.
Il Celler de
Can Roca (ora voglio essere tecnica e non la solita romantica visionaria) è
composta da Joan, Josep e Jordi. I tre fratelli appartengono alla terza generazione di una famiglia dedicata alla
ristorazione e sulle orme dei nonni, che avevano aperto una taverna a
Sant Martí de Llèmena nel 1920, aprono nel 1986, il ristorante El Celler de Can Roca, (tre stelle
Michelin e quest’anno miglior ristorante del mondo secondo
The World’s 50 Best Restaurant
)
accanto alla locanda dei genitori, a Girona. Tre numero perfetto, secondo
il cristianesimo. Sono, infatti, tre le personalità che compongono lo zoccolo
duro del Celler, con Joan in cucina, Jordi alla pasticceria e Josep alla
cantina. Tempio delle emozioni e della ricerca, in questo ristorante dove tutto
è equilibrato, a partire dalla luce che entra nello spazio giocando un ruolo
importante sulla stabilità delle sensazioni, ogni pasto termina con le
creazioni della “mente dolce” di Jordi.
Finisco qui
per ora. I piatti veri li racconterò più tardi.
Se qualcuno avesse ancora dei dubbi sul connubio perfetto tra sesso e cucina, si ricrederà leggendo questo pezzo.
RispondiMi hai fatta eccitare, sei una goduria ;)
A.
cara... te sei sempre così.
Rispondisu Blue diventi amplificata, universale, condivisibile, offerta.
non è più roba solo tua, ma di tutti.
io la vedo a questo modo.
è anche un po' mia (la tua 'roba', tutta quanta) e di chi ti legge.
funziona così, darling, vero?
catarsi.
nel bene e nel male: simpatia. (pathos insieme)
tu hai già tutte le chiavi, sai già tutto.
pesa lo stesso scontare tanta (ma proprio tanta) bellezza, dentro e fuori.
come si fa a perdonartela? a volte mica ci si riesce...
e uno dice 'non mi merito, ma'.
prenditi tutto, rincaro la dose e a presto, sì.
ti tocca.
abbracio
A.G
se non mi mancassero soldi e tempo prenderei il primo volo per Girona e mi fionderei diretta in questo fottutissimo giardino dell'Eden!!! :)
Rispondiun bacio cara Blue e grazie per l'eccitante e coinvolgente descrizione dell'esperienza vissuta