Nel
1558 Giovan Battista della Porta scrive il Naturalis Magiae, raccontando di meravigliosi fenomeni che si verificano
in natura e interrogandosi su come si
possa fare a far risplendere una oggetto nelle tenebre. Studiando
assiduamente risponde con una ricetta a base di lucciole distillate e seccate
dalla quale si ricava una polvere magica
nota nell’ambiente del teatro per la sua peculiarità, incline a produrre
effetti sbalorditivi. Della Porta studia e risponde al quesito ignaro del fatto
che qualche decennio dopo Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, genio
inquieto dall’intelligenza fervida e acuta, presterà attenzione proprio a quel
passo descritto nel suo testo. Sedotto dalle potenzialità del composto incantato, Caravaggio lo
applica nella sua agitata sperimentazione tesa allo studio della luce e
all’impiego della camera ottica della quale si avvale per dipingere dal naturale. Nella magica miscela del
pittore
si rileva la presenza di
argento, arsenico, zolfo, iodio, magnesio, materiali fotosensibili che
accrescevano la luminosità del dipinto, migliorandone la profondità spaziale e
permettendogli di lavorare anche al buio. Questi, usando distillato di lucciole
dall’effetto fluorescente fissava temporaneamente l’immagine in un tempo
compreso tra i cinque minuti e le due ore dando inizio, cosi, al suo operato
che oltrepassava la soglia dell’oscurità.
Più
recente è invece, la scoperta fatta sull’acquerello di Van Gogh,
Les bretonnes set le
pardon de Pont Aven
del 1888, in cui l’autore
fece brillare le sue opere utilizzando alcuni colori fosforescenti. Sulla
superficie del dipinto è stato rivelato un inconsueto splendore verdastro in
corrispondenza delle macchie bianche. Pare che per ottenere questo effetto, Van
Gogh, si servisse di un pigmento formato da ossido di zinco, tracce di solfuro
di zinco e altri elementi metallici. Ne risulta che il colore si comporta come
un materiale semiconduttore generando una fluorescenza verde. Le recenti
scoperte, fatte da studiosi di varie università tra cui Roberta Lapucci per
Caravaggio, hanno reso ancor più compatta e salda la ricerca sull’utilizzo del
pigmento di luce in pittura.
Ai giorni nostri c’è un’artista che è riuscito ad
oltrepassare il confine della notte con la sua pittura, è stato capace di
scardinare i canoni convenzionali della semplice visione diurna di un’opera
d’arte consentendoci di trovare il
visibile in ciò che prima si mostrava invisibile, la luce si è amalgamata con
l’oscurità, il giorno con la notte, il percettibile con l’impercettibile, tutti
a braccetto mettendo da parte i preconcetti della visione consueta a favore di
un nuovo credo che ha consacrato Raimondo Galeano come “il pittore illuminato”, demiurgo della luce e profondo conoscitore
delle tenebre che svelano realtà inaspettate.
Il
pittore della luce, che ha sempre cercato le risposte attraverso la pittura,
facendo sì che sia lei a doversi trasformare per svelarci una nuova dimensione
percettiva.
Raimondo Galeano classe 48’. Il suo percorso artistico inizia
a Roma con i maestri della Scuola di Piazza del Popolo
e nonostante il forte ascendente
di Franco Angeli, Tano Festa e Mario Schifano, riesce a sganciarsi e
riconoscere la sua strada non tra pennelli e barattoli di colore, bensì
ricercandola tra particelle di atomi eccitati che liberando fotoni, rendono
percepibile, al buio, un’opera celata che vive una doppia vita. Pittore della luce e primo artista
contemporaneo a riuscire a fondere la percezione dell’opera diurna a quella
notturna con l’utilizzo di un particolare pigmento luminescente (da lui
sapientemente preparati rendendoli
in
grado di assorbire e trattenere la luce acquisita durante il giorno, per
liberarla poi in sua assenza
)
con i suoi lavori
notturni mette in evidenza ciò che esiste intorno a noi ma che spesso è
dissimile da ciò che vediamo. Guardando il lavoro di Galeano la capacità di
percepire l’ignoto, (percettività)
si aggancia immediatamente
all’illusione immaginaria dell’immagine e alla formazione stessa della visione,
attraverso quello che Deleuze chiama, l’interstizio
o spazio vuoto che, nella pittura di Raimondo, riconosciamo come spazio di
emozione che separa il momento di passaggio dalla luce all’oscurità. Nel cinema
di Godard, secondo Deleuze, l’interstizio tra le immagini é “l’assunzione ontologica di un non visto, di
un invisibile che passa “tra” un’immagine e l’altra e che, riscatta l’immagine
dalla sua illusione inscrivendola in un processo di svelamento”. Nella
pittura di Galeano l’interstizio/spiraglio è la nostra commozione, l’attesa, lo
stupore e se vogliamo anche la paura del passaggio vedo/non vedo o meglio vedo
e poi mi accorgo di presenze oltre la luce.
“
Il colore non esiste
” esclama l’artista “
perché in
assenza di luce nessuno di noi sarebbe in grado di distinguerne alcuno
”. In effetti,
il colore non è una caratteristica fisica, ma è
una sensazione elaborata dal cervello quando i nostri occhi percepiscono fotoni
di una certa lunghezza d’onda.
Secondo la fisica siamo noi esseri umani ad avere
un determinato sistema visivo dando una percezione personale del mondo, ne
deriva che il colore è una creazione umana e la vera natura delle cose è il
buio. Ogni oggetto in realtà è oscuro e non emette un colore di per sé. La luce
è sempre alla base di tutto.
“
La luce è
per me la madre di tutti i colori. Sono un pittore che con una tecnica
particolare tenta di ribaltare dei concetti dati per scontati. Se tutto
l’universo si rivela a noi attraverso la luce, io ho preso la luce e gli ho
dato forma. Un dipinto di luce è come una stella la cui essenza viaggia
all’infinito. E’ un misto tra scienza, poesia, pittura e cosmo. Non a caso
molte mie opere si chiamano Navigatori del cosmo
”.
Così,
imprigionando la realtà con la sua pittura ci apre un mondo sconosciuto dove le sagome prendono vita
e si animano d’emozioni e sentimenti che corrono attraverso l’oscurità e
rendono percepibile ciò che prima era nascosto. Un dialogo con l’universo al
quale l’artista
invia immagini che
viaggiando a trecentomila chilometri al
secondo vivranno nello spazio all’infinito.
A tale proposito mi viene
spontaneo ricordare un’affermazione del noto scrittore britannico Terry
Pratchett per cui “
La luce
crede di viaggiare più veloce di tutto, ma si sbaglia. Per quanto sia veloce,
la luce scopre sempre che il buio è arrivato prima di lei, e l'aspetta
.
Ma le opere di Galeano
non si limitano ad essere solo pittoriche e rimanere appese alle pareti, al
contrario assoggettano anche l’oggetto. Sono innumerevoli gli oggetti
decontestualizzati e fatti divenire opere d’arte tridimensionali tra cui vasi,
anfore, orci, ventagli, vespe che attraverso il lumen si guadagnano
l’immortalità. Sono parte integrante del lavoro dell’artista anche le
performance in cui lo spettatore può, finalmente, riuscire a scorgere la sua
ombra sulla tela, la sua anima rimane impressa e ognuno di noi può diventare un
navigatore del cosmo viaggiando a velocità insospettata. In questo frangente,
l’artista riesce a catturare l’essenza dell’anima delle persone guardando al
grande Leonardo che in merito all’ombra scrisse:
"Il secondo principio della pittura è l'ombra del corpo, che per lei
si finge, e di questa ombra daremo i principî, e con quelli procederemo
nell'isculpire la predetta superficie
".
L’ombra è la prova visibile dell’esistenza e della fisicità
del proprio corpo e Galeano riesce a farne prigionieri i contorni. Cosi, nel mito della caverna di Platone, le
ombre diventano allegoria della prima forma di conoscenza di un’umanità schiava
delle percezioni sensoriali, che non è in grado di voltarsi per guardare
direttamente la luce del sole dietro le loro spalle, mentre nelle performance
di Raimondo possiamo voltarci e rimanere attoniti dal fatto che la nostra ombra
sta li ad guardarci con la stessa intensità con cui la osserviamo noi.
Ma non è finita qui. Abbiamo conosciuto il lavoro di
un’artista che è rimasto chiuso in una cantina a studiare la luce per un’intera
vita ed ora è arrivato ad una ulteriore evoluzione della
tecnica dell’uso del lumen. Dopo trent’anni di
sperimentazione, Galeano si è accorto che accostando al pigmento di luce verde,
un altro pigmento di luce blu, la figura sembra solcare la terza dimensione. I
soggetti delle sue opere fuoriescono dal limite della bidimensionalità e
addirittura paiono mutare man mano che ci si appresta a starvi di fronte,
l’opera che vedremo sarà diversa da quella dell’attimo prima. Di fronte ai
nostri occhi si manifesta un fenomeno a dir poco incredibile. I quadri di
Raimondo Galeano mutano con il tempo. Come ne “Il ritratto di Dorian Gray” in
cui il protagonista chiede che il quadro regalatogli da un artista “
possa invecchiare al posto suo
” in quanto “
il pensiero del tempo che passa lo distrugge
”, così nella desolazione del buio di una
stanza, immersi nell’oscurità più totale ci si riproporrà esattamente ciò che
Wilde sembrava aver predetto scrivendo uno dei romanzi più importanti per
l’estetismo letterario decadente. Una magnifica Marilyn Monroe si trasformerà
da sensuale icona a teschio raffigurante la morte cosi come altri soggetti
rappresentati, da carnali e lascivi personaggi, assumeranno l’immagine del
tempo che scorre, diventando vecchi. “
Aveva espresso un pazzo desiderio: che potesse lui
rimanere giovane, e il ritratto invecchiare; la sua bellezza restare intatta, e
il viso dipinto sulla tela portare il peso delle sue passioni e dei suoi
peccati. [...] Pareva mostruoso persino pensarci…”
Galeano genio incompreso, ma sicuramente genio
.
Davide e Golia, luce su tela visione diurna e notturna