E poi ti ritrovi a scrivere. Come sempre, bulimicamente
assetata di parole, affamata di quell’urgenza che solo la scrittura sa colmare.
Dipendente da quel foglio bianco che vuoi riempire.
Raccontare certe cose non è facile. Ma raccontarle quando le
hai passate è una liberazione. Un inno alla vita. Si, perché la vita ti ha
premiato con la vita, ti ha regalato quella felicità che si prova solo quando
riesci ancora a rialzarti esclamando ce
l’ho fatta. Lo sto scrivendo dalla mia scrivania e non più dal mio letto.
C’era una volta una bambina. Una bambina che ha fatto le
scale per diventare grande. Una bambina che contava sempre quei ventuno scalini
per arrivare in cima o per raggiungere la base di quelle scale che le
sembravano sempre troppo ripide, sia verso l’alto che verso il basso. Una
bambina diventata grande in un soffio di vento, lento oggi, un’eternità che non
si consumava mai, allora. Il tempo che vivi da bambino è cementato. Non passa
mai. Da grande, lo stesso tempo, è frusto. Rapido. Feroce. È come un tuono. Il
tempo di ora, è un tempo alla velocità della luce. Tic. Tac. Il tempo di un
bambino, è un tempo che suona le campane di mezzogiorno del sabato prima di
Pasqua. Din Don. Din Don. Din Don.