Nel racconto di Lewis
Carrol, Alice nel Paese delle Meraviglie,
la regina di cuori è la bellicosa
governante del "Paese delle Meraviglie" assieme al tenero marito. È
colei che causò la pazzia del Cappellaio Matto e del suo amico Leprotto e che
accusò tutti e tre di aver "ucciso il tempo", facendoglielo fermare
proprio all'ora del tè, le cinque del pomeriggio. Per i Litfida, la Regina di
cuori è colei che “tra mille colori, Sei tu la più bella e della notte la
mia stella, Regina di cuori ti vesto di fiori, Ti giurò l'amore ma non l'eterna
fedeltà, M'ami non m'ami ma m'ami, O forse o no…Oh m'ami!”.
Nella canzone di
Negramaro Quel matto son io: “… vorrebbe un cappello più grande, ed un paio
di mani più attente, che nasconda bene perfino alla gente, il segreto di quel
che son io, che se avessi un cappello più grande, ti terrei da quel mondo
distante, tra fiori e conigli non pesa alla gente, il segreto di te…”
martedì 29 novembre 2011
Regina di Cuori al comando | Aurora, Chef Stellata
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domenica 27 novembre 2011
Dance Me To The End Of Love
Strampalata sensazione,
tormento, passione, incertezza, memoria, aria soffocata che fatica ad uscire,
canto che non si ode, parola cucita internamente, cuore schiacciato, occhio che
non vede più. Sta succedendo ancora, sento il corpo invaso da un brivido, da un
umore che non voglio più che mi appartenga, sento la tua voce che cerca di
attraversarmi, sento il battito accelerato improvvisamente.
Sento che ti ho dentro.
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venerdì 18 novembre 2011
Così lontani, così vicini.
Intersezioni a
raso, rotonde, intersezioni a livelli sfalsati, svincoli, sensi di marcia,
stop, divieti, strisce pedonali, limiti di velocità e ancora svolta a destra o
a sinistra, tieni dritto e curva pericolosa, semaforo rosso, divieto di
transito o prestare attenzione all’incrocio a 300metri.
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venerdì 11 novembre 2011
Stellata e cartacea la penna di Blue
Finalmente ci sono riuscita. Blue firma il sodalizio con la rivista Kairòs in uscita nel numero di Ottobre 2011. Finalmente Blue diventa cartacea e scrive su uno degli chef più promettenti che abbiamo nella nostra magnifica Italia, Stefano Baiocco.
Passione, Curiosità e Amore nella
cucina delle meraviglie di Stefano Baiocco
Quante volte, da bambini,
dopo essere stati seduti sulla terra umida a leggere le fiabe, correvamo a
strappare le erbette e ad annusarne il profumo pensando che quell’odore potesse
assomigliare al bosco delle delizie gastronomiche dov’era stata costruita la
“dolce” casetta della strega in Hänsel e Gretel. E quante, siamo stati puniti
dalle nostre madri per aver mangiato le violette del fosso o i fiorellini rossi
del vaso della nostra vicina. Che emozione raccoglierle e annusarle, sentirle
al tatto e lasciare che abbandonassero il loro colore sui nostri vestiti, che
penetrassero con i loro odori i nostri nasi, per poi, furtivamente entrare,
dritte dritte, in bocca, o magari trasformarsi con l’ausilio dell’ingegno, nel
the dei Matti in Alice del Paese delle Meraviglie. C’è sempre stato, un
momento, da piccoli, quando, avvolti nella lettura, avremmo desiderato trovarci
in mezzo ad un sentiero piccolo e percorrerlo avidamente con il nostro cestino
di vivande da
Cappuccetto
Rosso
.
Con il cuore in gola, il passo rapido e la smania infantile, gridavamo al
nostro IO
di
andare più veloce per poter arrivare prima, perché si aprisse in fretta quella porta
, perché quel luogo in
cui i sogni si avverano, potesse finalmente essere tangibile e non una semplice
visione. Da bambini pensavamo che le favole fossero il cammino verso una realtà
incantata, un mondo solo nostro che ci conduceva alla serenità, un rifugio
magico per spodestare il male di non essere compresi.
Da grandi non abbiamo
perso la voglia di sognare, l’abbiamo solo accantonata un istante per cercare
luoghi che ricordino quelli descritti sui libri che leggevamo solitari, seduti
sotto ad un cipresso. Da adulti ci siamo resi conto che il The dei Matti, il
cestino di Cappuccetto Rosso e la casetta di Hänsel e Gretel
possono essere racchiusi
al di là di un cancello, di un muro, di una fortezza, di una villa o, forse, di
una cucina, e che è sufficiente prendere il coraggio tra le mani per poter
saltare, avanzare, o semplicemente farsi aprire.
Sono cosi approdata a Villa Feltrinelli,
suonando il campanello, chiedendo permesso ed entrando dall’ingresso
principale. Questa sfavillante residenza fu il luogo in cui il Duce trascorse
gli ultimi mesi della sua vita. Una villa ottocentesca dal fascino disarmante,
quasi da togliere il fiato, in cui si respira il connubio tra passato e
presente, dove lo stile liberty va a braccetto con il finto gotico e l’eleganza
regna sovrana insieme al gusto estetico, che pare aver messo radici ben salde.
Proprio qui, dove lo sguardo si perde nell’infinito orizzonte del lago di
Garda, dove la natura, la bellezza e la storia ci lasciano a bocca aperta, il
verde del prato bacia l’architettura imperante e la vista ci riempie di
immagini mai scorte prima. In questo paradiso
sensoriale, dove tutto
rasenta la perfezione non poteva che essere il senso del gusto
, a chiuderne il cerchio
e il giovane chef Stefano Baiocco a detenere le chiavi, non della porta
dell’Eden, bensì della sua paradisiaca cucina.
Stefano Baiocco classe 73’chef Executive a
Villa Feltrinelli dal 2004 vanta un curriculum che lascia attoniti, nel suo
percorso passa tra le cucine di Pinchiorri, Ducasse, Gagnaire, Roca, Aduriz,
Adrià, e altri chef “stellati”, non c’è quindi da stupirsi se già da alcuni
anni abbia preso “la stella Michelin”. La sua cucina è pulita, netta, leggera,
è erotica e implosiva, è sensuale e ricercata nella sua semplicità, è un
condensato di saperi e ricerche, di sapori, gusti, odori, visioni che vengono
create e posate sul piatto. E’ una cucina “dell’amore” fatta di germogli,
foglie, fiorellini, di erbe officinali che segue e raccoglie personalmente, una
fusione di colori, timbri emozionali, impatti visivi, pitture impiattate e
alchimie, è una cucina che risveglia le tormenta del corpo, sana le pene
dell’anima e brama di vivere ben oltre l’attimo in cui ne gustiamo i sapori.
Così inizia l’avventura, mentre, composta
al tavolo, l’occhio guarda e nel sovrabbondare dell’osservabile si riempie
d’immagini, la curiosità si fa spazio e la bramosia di soddisfare il palato
avanza. Cullata dal rumore di un temporale di fine estate, lascio allo Chef la
scelta del menù. Assaggi lenti e profondi, che spaziano da “Caramello di
funghi
”
adagiato su una coreografia di bosco dell’incanto, a “Capesante con yuzu e
crostini neri
”
mimetizzati su simil pietre vulcaniche. È un simposio “L’ostrica vegetale
” come pure “La
Carbonara
”,
composta da due tortelli di pasta all’uovo al cui interno sta l’incredibile
ripieno che, adagiata sulla punta della lingua esplode portandosi dietro un
retrogusto di pepe della Tasmania. Le “Chele di scampo crude con sorbetto
alla mela verde, fiori di basilico e pepe di sansho
” modulano l’alternarsi
di acidità e dolcezza ensemble
e le “Cervella di coniglio brasate, pan
fritto e consomme' di cipolla
” rafforzano il mio pensiero ricordando una frase
del saggista George Bernard Shaw per il quale “non
c'è amore più sincero che l'amore per il cibo
”. La chiusura delle pietanze salate, prima dei dolci, ma con
un intermezzo d’eccezione, a sorpresa, è dato dal
“
Manzo grigliato con bieta, scalogno ed erba cipollina su
consommé d’agrum
i”.
Il colpo di scena è la sintesi perfetta che
costruisce con la preparazione della sua “Semplice Insalata
” composta da più di
cento varietà vegetali tra erbe e fiori eduli, con alla base due cialde di
pasta brick che racchiudono fini lamelle di champignon crudi, il tutto condito
con un filo di olio. Un piatto per molti, ma non per tutti, un fuori menù,
dedicato a chi merita, ed è in grado, secondo lui, di sopportare
l’esplosione/implosione dei sensi. Un’anarchia gustativa in cui si percepisce
che in natura c’è già tutto ciò che desideriamo, dove si fanno spazio l’amaro,
il piccante, il dolce, l’acidità, la freschezza e altre mille sfaccettature che
ti fanno pensare ad un piatto che vive solo nel presente in quanto la
fogliolina che ingerirai, dopo un attimo, sarà diversa da quella di un attimo
prima.
La semplice insalata
ricongiunge anima e
corpo lasciando spazio al dopo. “This is not the end…
” questo è solo un nuovo
inizio che ri-comincia dai dolci. Memorabile la ri-contestualizzazione
dell’argilla commestibile “meringa al fisherman appena spennellata di
caolino
”
, servita con sorbetto al
peperoncino e spuma al limone. Il “minestrone di frutta e verdure candite
con consommè alle 10 spezie
” riesce a raccogliere e soddisfare tutti i sensi, nessuno
escluso, uno sweet
al “femminile” cosparso da una salsa con dominanza rosa che
racchiude segretamente i sapori delle foglie di vaniglia, dell’anice stellato
del cardamomo e di altre sette perle afrodisiache.
La “crespella di latte con zenzero e
spuma di yogurt magro e sciroppo al rosmarino
” è il gran finale.
Anthelme Brillat-Savarin nel 1825 disse:
“La scoperta di un piatto nuovo è più preziosa per il genere umano che la
scoperta di una nuova stella”. E’ interessante notare come questo giovane chef,
che fa della passione e della curiosità le note immancabili della sua cucina e
che esprime il suo credo in “La cucina ha senso soltanto se abbiamo qualcuno
con cui condividere le nostre emozioni
“ sembri aver ispirato la “Fisiologia del gusto”.
La cucina ha più senso se stimoliamo il palato, innalziamo la soglia del gusto
e aggiungiamo amore a ciò che facciamo, unendola ad un pizzico di rassegnazione
al peccato.
Dopo aver assaggiato i piatti di Stefano
Baiocco, seduta a sorseggiare un caffè, con vista Lago, sarei pronta a
ricominciare da capo. In questo momento di redenzione il rimando alle fiabe è
obbligatorio “e vissero felici e contenti
” tra menta hibrida dionisyos, oxalis
rossa, salvia all’ananas e altre mille foglioline.
Ecco dove potete trovare Stefano da Aprile a Ottobre.
www.villafeltrinelli.com
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martedì 8 novembre 2011
L'alcova non consumata
A me la notte porta consiglio. Mi giro e
rigiro nell’alcova dell’amore mai consumato, mi alzo, accendo la luce, leggo
storie di sesso sfrenato senza mai adoperarmi per farne, di buon sesso, guardo
il mio chihuahua, la accarezzo, controllo se ancora ho il mascara sulle ciglia
e alla fine, come sempre, mi giro dal lato destro del comodino, prendo il mio
Mac bianco e lo accendo.
È questo l’unico orgasmo che ho da un
anno e mezzo, il poter essere libera di scrivere nel bel mezzo della notte è il
mio più intenso piacere. Potermi
concedere quando voglio a lui mi da soddisfazione, non mi stanca e al termine
delle 3000battute solite ne risulto pure appagata. Questa notte un sound da
discotecara farneticante accompagna il ticchettio rapido dei polpastrelli sui
tasti “Mark Knight | Devil Walking”. Ogni tanto un sussulto o un’alzata di mano
giocano a fare dondolio, avrò forse voglia di andare a ballare o magari
semplicemente dovrei affaticarmi un pò o trovare qualcuno che mi stanchi e
arruffi queste lenzuola poco consumate. Ho sempre pensato che a essere troppo
sante non si va da nessuna parte, ma ahimé, ultimamente, di voglia di
relazionarmi con il sesso opposto non ne ho proprio voglia. Io li amo, gli
uomini. Ma non amo tutto quello che ruota intorno a loro. Non ho voglia di
uscire a cena, accennare sguardi, fare la civetta, mettermi i tacchi anche la
sera, come se il giorno portassi sempre e solo le Converse!. Non mi va di farmi
la ceretta, arricciarmi i capelli, scegliere l’abito, sistemarmi le unghie, o
avere le farfalle nello stomaco alle 20,45 prima del suono del campanello che
ti annuncia il suo ufficiale arrivo nella tua vita.
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sabato 5 novembre 2011
E' una vita che Vi aspetto
Alcuni anni fa mentre perdevo lo sguardo per le vie di NewYork, mentre riempivo di immagini gli occhi, alimentavo la fantasia, costruivo sogni su un possibile futuro nella grande Mela, mentre tutto mi sembrava colossale e sconfinato, le altezze inarrivabili, i palazzi fuori dimensione, mi rendevo conto di quanto tutto, li, fosse cosi nuovo e diverso dal vecchio mondo. Mentre i quartieri pullulavano di folclore e le etnie si ritrovavano nelle metropolitane, io persa nel mio guardare rimanevo eccitata per ore e ore ad ogni minimo dettaglio e scorcio di questa città che ho amato e amo profondamente. Chi dice NY dice grandezza, spregiudicatezza, innovazione, ricerca, frenesia, ma anche divertimento, cultura, moda, avanguardia, arte, finanza e naturalmente, compenetrazione di culture diverse che si riflettono nelle svariate cucine provenienti da ogni angolo del pianeta tracciando inevitabilmente la storia dei popoli. Si sa, la cucina, più di altre discipline riesce ad avere questa potenza, delinea il passato, il presente e il futuro di una stirpe, caratterizza, miscela, fonde, scopre le tradizioni, riunisce i saperi, evolve l’uomo e lo proietta nel domani. Sarà per questo che io adoro cosi tanto New York. Sarà per il suo saper essere unica e mille insieme, fredda e calda, dolce e amara, europea e asiatica, messicana e nera, la amo perché sa parlare inglese e spagnolo ma anche francese, italiano, brasiliano, cinese, marocchino e cambogiano, sa il filippino il giapponese e la lingua degli indiani.
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